ARTICOLO - Le malattie della Prima guerra mondiale
Articolo - Roma
Per i soldati dei diversi schieramenti che combattono durante la Prima guerra mondiale il nemico non è rappresentato soltanto dagli uomini che si trovano sul fronte opposto, al di là della terra di nessuno, armati e equipaggiati in maniera simile; le insidie per i combattenti arrivano anche dalle molte malattie che attentano costantemente alla loro vita e che, nelle logoranti trincee, trovano un terreno fertile dove diffondersi con una potenza devastatrice.
All’interno della trincea, infatti, gli uomini conducono una vita primordiale fatta di stenti e sacrifici e sono esposti continuamente alle intemperie climatiche. Una testimonianza diretta che sottolinea le condizioni precarie in cui sono costretti a vivere i soldati è quella di Gaetano Viale che, nel 1917, pubblica l’opuscolo “Un fisiologo in trincea” nel quale rimarca il fatto che i combattenti siano tornati a condurre un’esperienza di “vita atavica” a causa del conflitto.
Nonostante i progressi fatti dalla medicina del tempo gli stessi scienziati allo scoppio della guerra si attivano per mettere in guardia i soldati sui pericoli rappresentati dalle molte malattie esistenti e per sollecitarli a seguire attentamente le norme di prevenzione indicate da quella branca della medicina che prende il nome di Igiene. A rappresentare una minaccia quotidiana per la salute degli uomini all’interno delle trincee sono i pidocchi di cui si lamenta il soldato Giuseppe Barbieri in una lettera indirizzata alla moglie e contro i quali il medico Giovanni Grixoni offre dei consigli scientifici di difesa in un opuscolo del giugno 1916.
Le malattie più diffuse e più pericolose negli anni della Grande guerra sono il tifo esantematico o petecchiale, il colera, la dissenteria amebica, la malaria e la turbercolosi. In particolare, quest’ultima rappresenta una preoccupazione costante per gli esponenti della medicina militare e per le autorità civili che tentano di evitare in ogni modo la sua diffusione. Come testimonianza di tali ansie e del vivo interesse verso le condizioni di salute dei soldati al fronte vi sono alcuni opuscoli tra cui resoconti di conferenze tenute da esponenti della medicina e un interessante dispensario medico-legale destinato ai militari affetti dalla malattia e alle loro famiglie; a questi si aggiungo articoli pubblicati sul periodico La guerra italiana e volantini e manifesti diffusi da comitati civili e dalla Croce Rossa che invitano a rispettare le misure di prevenzione indicate e a evitare di “sputare per terra” per tutelare la propria salute e quella degli altri.
Per alcune di queste malattie la medicina è riuscita a trovare dei vaccini di fondamentale importanza per poterne arrestare la diffusione e la mortalità. Proprio sui vantaggi che si possono ottenere dalla vaccinazione contro il tifo e il colera si esprime il medico Francesco Zangri durante la Conferenza tenuta agli ufficiali del presidio di Catania il Giorno 11 Ottobre 1915 nella quale ripercorre l’origine e la diffusione di queste due malattie infettive ora finalmente neutralizzate grazie alla ricerca scientifica.
I soldati che si ammalano vengono solitamente curati negli ospedali di riserva per le malattie infettive regolati da precise Norme igieniche per il servizio interno che il corpo di guardia e le infermiere sono tenuti a far seguire alla lettera per contrastare la diffusione del contagio. I medici militari, inoltre, si dimostrano particolarmente sensibili alla cura dei combattenti attraverso il loro lavoro sul campo e la pubblicazione di opuscoli nei quali si soffermano sulle misure di profilassi da adottare necessariamente per combattere la mortalità delle malattie. Ci sono poi casi in cui il morbo colpisce anche gli operatori sanitari come ad esempio il Tenente Medico Giacomo Santi deceduto il 5 dicembre 1917 proprio a causa di una malattia presa in zona di guerra.
Il 21 marzo 1918 gli imperi centrali tentano una grande offensiva sul fronte occidentale ricordata come “Battaglia per l’imperatore” che però si arresta nel giro di pochi giorni; durante i combattimenti, infatti, i soldati iniziano a crollare a terra a causa di una febbre che si diffonde sui campi di battaglia e nelle trincee. Inizialmente viene scambiata per una normale influenza visto che si manifestano gli stessi sintomi ma, in realtà, è una nuova terribile epidemia provocata da un virus e alla quale viene dato il nome di Spagnola.
L’ampia presenza di germi e batteri di diversa natura nelle zone di guerra contribuisce a diffondere l’epidemia che, dopo aver mietuto le prime vittime nel periodo primaverile, si ripresenterà con una seconda ondata nell’autunno dello stesso anno, proprio nelle settimane che precedono la fine del conflitto. Gli effetti di questa nuova epidemia, di cui gli stessi medici fanno fatica a individuare le cause e a capire l’andamento, sono devastanti soprattutto in costi di vita umane.
Il 20 ottobre 1918 viene inviata dal Ministero dell’interno, Direzione generale della sanità pubblica ai prefetti la circolare n. 20300 che contiene i provvedimenti da seguire per la “profilassi dell’influenza”. Assai emblematici sono i disegni dell’artista Frate Menotti che realizza delle vignette che contengono una personificazione della pandemia influenzale e che affrontano il tema del fenomeno sottovalutato dalle autorità, nonostante la strage perpetrata dall’epidemia.
Fonti:
Eric J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, Il Muluno, 2014.
Articoli consultati sul web:
Ferite malattie e traumi da trincea, dal portale www.centenario1914-1918.it, consultato il 1° ottobre 2020
URL: http://www.centenario1914-1918.it/it/2015/07/08/ferite-malattie-e-traumi-da-trincea
Diego Grossi, L’influenza spagnola: storia della pandemia più letale del XX secolo, da Fatti per la storia, consultato il 1° ottobre 2020
URL: https://www.fattiperlastoria.it/storia-influenza-spagnola/